venerdì 30 settembre 2011

31 Ottobre 943 ore 19.00 52° giorno di prigionia

Mie Anita e Pupetta, se avrete la fortuna di leggere questi foglietti, non vi troverete che dolore: ma questo non dice niente in confronto a quello che provo. Non vi sono parole per esprimerlo.
Oggi è domenica, Vigilia di Ognissanti; lo so non perché si veda qualche segno di festa qui, ma perché non ho ancora perso la nozione del tempo, ed ho un calendario. Qui non conoscono feste; anziché 12 ore di lavoro ne devo fare 18, perché la domenica si cambia il turno.
Non potete immaginare il mio stato d’animo; dopo aver fatto una settimana di notte, mi sento così spossato e depresso, sfiduciato, che se non avessi un barlume di speranza commetterei qualche pazzia.
Ah che feste! Quanti dolci ricordi della festa di Ognissanti, quanta nostalgia e quanta amarezza, vedendomi così lontano, senza vedere una chiesa, senza sentire una campana.
E di voi che ne sarà? Quante lacrime avrai versato Anita? E quante ne dovrai versare ancora? Sei più forte di me? Resisterai? Ah…io mi sento male, e se Iddio non mi aiuta, il mio cuore si spezzerà, non resisterò tanto tempo.
In questa settimana non ho fatto altro che guardare le vostre fotografie, baciarle e piangere.

Friedland 26-10-943 – 47° giorno di prigionia

Due anni si compiono oggi, dal giorno che partii per l’ultimo richiamo. Fu un triste giorno, però alla sera ho dormito ancora nel mio letto. Questo giorno è ben più triste; per trovare il mio letto, potendolo, dovrei superare la distanza di 1.500 chilometri. Invece anziché dormire devo lavorare! Bella differenza: avere un bel letto e, quello che più conta, essere vicino alle mie Anita e Pupetta da una parte; e avere dodici ore di lavoro e 50 gradi di calore dall’altra, lontano da loro 1.500 chilometri, e per di più senza sapere nulla di loro da 50 giorni!
Ah Anita, quando finirà questo tormento? Chissà come sarai tu! Ho sempre questo terribile pensiero che mi tormenta; il mio cuore è tanto indebolito che non mi lascia neanche prender sonno. E’ già parecchio tempo che dormo pochissimo e temo di ammalarmi. Non so se resisterò ancora tanto tempo senza commettere la pazzia di fuggire. Fin’ora mi ha trattenuto la paura di morire di fame e stenti per la strada, o di essere pescato magari dopo aver camminato un mese, ma se mi dura questo stato d’animo, se non sento qualche buona novità, non resisterò più.

Friedland 24 ottobre 943 domenica – 45° giorno di prigionia ore 19.30

Anita mia! Quanta tristezza in questa giornata; mi sento una voglia di piangere ma non sono capace, forse perché non avrò più lacrime: sono così addolorato che non riesco neanche a pregare. Fin’ora, quando mi assalivano simili momenti, mi rivolgevo a Dio, alla Madonna, e ne avevo un po’ di sollievo. Ora non riesco neanche a fare questo. Son già due ore che ho incominciato a lavorare, e non sono ancora riuscito a dire le preghiere, che quasi tutti i giorni recito appena arrivato al lavoro. Ah! Quanto durerà questo tormento? Ma perché non mi lasciano almeno scrivere? Molte volte sono tentato e vorrei quasi fuggire, ma in che modo? In treno impossibile. A piedi, ma mangiare? Tra me e voi ci sono 1.500 chilometri, e questa gentaccia qui, sono tutti poliziotti, arriverei prima di essere pescato? E se riuscissi ad arrivare, non verrebbero a prendermi a casa? E se mi nascondessi, lascerebbero in pace te?

sabato 24 settembre 2011

16 ottobre 943 sabato

Dal giorno 2, e cioè dal giorno in cui ho cominciato a lavorare in fabbrica, non ho più fatto il diario. Lo strepitio infernale della mia macchina e il calore che regna sotto questo tetto mi ha rincretinito. Ora incomincio ad abituarmi, e provo a descrivere un pochino l’ambiente in cui mi trovo.
La bilancia automatica, della quale devo garantire il funzionamento, ha il compito di pesare e tener sommato il peso di tutte le bietole che arrivano dal saliscendi e vanno ai molini. Perciò è posta nel luogo più alto della fabbrica, subito sotto il tetto, tanto che io devo camminare curvo per non sbattere la testa nei travi. Sotto di me ci sono i molini che vanno sempre alternativamente. Inutile mettersi a descrivere tutte le macchine che sono in movimento, non avrei carta sufficiente: dico solo che sotto, sopra e intorno a me non ci sono che volani, cinghie di trasmissione, catene, ingranaggi, ecc... Lascio immaginare la musica indiavolata che arriva alle mie povere orecchie, prodotta da simili strumenti, aggiungendovi ancora l’infernale fracasso che fa la mia macchina quando si muove, e l’arrabbiato tremolio dei molini che ho sotto i piedi. Quanti gradi di calore faccia qui non so precisamente; so che qui a terra segna 40 gradi, ma quando scendo giù mi par di rivivere. Salendo la scala si sente aumentare il calore ad ogni gradino. Sono sempre a dorso nudo con le sole mutandine; quasi sempre fermo, eppure sudo continuamente. I primi giorni mi ero talmente indebolito che non riuscivo neanche più a pensare; ma ora comincio ad abituarmi e oltre a pensare riesco anche a scrivere. Sarà forse perché ho cominciato a mangiare qualche po’ di zucchero. A proposito del mangiare, mi pare di non aver ancora scritto su questi foglietti ciò che si mangiava al campo di concentramento, e quello che si mangia qui, e già che sono in argomento lo voglio fare.
Al campo ci davano al mattino un po’ d’acqua calda che aveva il colore e il sapore del decotto di sena, e con questa veniva mezzogiorno. Per pranzo ci davano 4 o 5 patate con un quarto di litro di minestra d’orzo, miglio e quaino e qualche carota. Si poteva berla benissimo. Alle 17.00 ci davano un pane da un chilo da dividere in 6 e mezzo chilo di margarina da dividersi in 25. Qualche volta si vedeva il salame e qualche altra la marmellata.
Qui invece siamo trattati come operai, a parte che si facciano 12 ore di lavoro continuate su 24. Alla sera ci chiudono in camera con chiavi e catenacci come fossimo dei condannati all’ergastolo. Si mangia discretamente, sottointeso che l’alimento primo è sempre la patata. Al mattino ci danno mezzo litro di surrogato di caffè; a mezzogiorno un litro di minestra di purè di patate, qualche giorno rape. Alla sera un mestolo di zuppa di cavoli o farina di segale con 7 o 8 patatine. Poi abbiamo un chilo e mezzo di pane alla settimana, 125 grammi di margarina e 100 grammi di marmellata. Si vive, la fame non si patisce. Poi abbiamo anche un marco e venti al giorno, col quale si può bere qualche birra. Insomma, se non avessi il terribile tormento del non poter scrivere, se potessi avere notizie della mia famiglia, sarei quasi felice, pur essendo prigioniero. Le giornate passano uguali tutte, così le settimane, senza sapere niente. Quando finirà?

domenica 18 settembre 2011

02-10-943 Sabato

La settimana è passata come segue. Fino a giovedì a raccogliere patate, venerdì a scaricare carbone e bietole qui in fabbrica. Stamattina mi hanno assegnato un posto in fabbrica, dove non c’è da faticare, solo da sorvegliare una macchina. Però si fa un turno di 12 ore, sotto una temperatura di 40 gradi; una settimana di giorno e una di notte, e non lavorando il tempo non passerà mai. Fino a mezzodì ho preso conoscenza della macchina; il pomeriggio riposo, così ho approfittato per lavarmi un po’ di biancheria. Lunedì incomincerò il turno.

27-9-943

Oggi la prima giornata di lavoro. E’ venuto il proprietario a prenderci alle 6.30. dopo mezz’ora di cammino giungemmo alla sua fattoria, dove abbiamo trovato dei camerati francesi, molto buoni con noi. Fino alle nove abbiamo insaccato dell’orzo, e poi siamo partiti per la campagna su di un carro, dove abbiamo raccolto patate tutta la giornata dietro alla macchina che le dissotterrava. E’ stata una giornata brutta: molto vento e pioggia. Bisognava lavorare lo stesso, la schiena faceva male. Quando la pioggia e il vento sferzavano il mio viso, pensavo alla mia casetta e alla mia botteguccia, dove almeno sono un po’ riparato, anche se questo terribile vento nordico non arriva mai colà!
Questa vita durerà fino al 10 di Ottobre, poi dicono che incominceremo a lavorare nello zuccherificio.

26-9-943 Domenica

Stanotte ho dormito abbastanza bene. Ho sognato la mia Pupetta e la mia Anita. Ero così felice assieme a loro che quando mi sono svegliato e ho visto la realtà, dovetti piangere, pensando a quanto staranno male loro, senza mie notizie. Chissà cosa penseranno di me! Potessi far loro sapere che sto bene! Che non corro nessun pericolo; mi parrebbe che benché lontano, potrei essere quasi felice. Invece chissà quando potrò farlo. Questa è la cosa che mi tormenta di più in tutti i momenti. Alle volte spero e prego Iddio che le aiuti e infonda loro la speranza e la sicurezza nel suo aiuto. Solo così ho un po’ di sollievo.

25-9-943

Si parte, e dopo due ore di treno, anziché trovarsi in una fattoria, ci ritroviamo in uno zuccherificio, in un paese chiamato Friedland. Ci accomodano per dormire, abbastanza bene; si mangia anche bene. I camerati francesi che sono qui da molto tempo ci assicurano che non si sta male.

sabato 17 settembre 2011

24-9-943

Stiamo distribuendo il mescolo di minestra di orzo, miglio e quaino. Ordine improvviso di sospendere e passare all’adunata. Arriva una commissione speciale composta dal solito capitano con un Gerarca del Partito Fascista e un tenente delle S.S. Sale su di uno sgabello il Gerarca. Il riassunto del discorso è questo:

‘ Camerati! Saluto al Duce! (l’a noi è debole). La notizia che vi vengo a portare oggi è questa. La principale vittima di Badoglio è vendicata; il maresciallo Graziani è stato nominato dal Duce Ministro della Guerra.’ (qualcuno grida ‘evviva Graziani’ - segue l’a noi e l’heil Hitler più deboli ancora).

 Poi sale sullo sgabello il Capitano, ripete quanto ha detto il gerarca e invita tutti ad arruolarsi nelle S.S., dicendo le seguenti testuali parole, stenografate da un mio compagno:

‘Io vi dico che questi volontari andranno esclusivamente in Italia. Ci hanno fatto vedere l’ordine scritto che si combatte esclusivamente in Italia. Se c’è ancora qualcuno titubante si persuada che questa è la vera realtà. Si va a combattere esclusivamente in Italia. Il fatto che qualcuno ha detto perché non veniamo inquadrati in massa è dovuto che anche in Italia si sta facendo il reclutamento volontario. Ad ogni modo c’è qui presente (purtroppo anche lui nelle nostre condizioni) il Colonnello Comandante del 74° Reggimento d’Assedio. Questo vi dimostra che noi non vi raccontiamo delle frottole. Lui per primo appena saputo della ricostruzione di questo esercito italiano è stato il primo ad aderire all’invito. Ora credo che nessuno dubiti più. Se come avete dimostrato fino ad adesso, il vostro entusiasmo è sano e salvo, in mezzo a voi non dovrebbe esserci più titubanza. Dipende da voi se rientrare in Patria a difendere le vostre case o restare qui quali prigionieri. Prigionieri che saranno trattati come traditori. Chi vuole partire resti qui, gli altri vadano pure via’.

Il momento è grave. Io ho deciso di seguire la massa. Però se la massa avesse aderito alla richiesta l’avrei seguita a malincuore, pensando che se non abbiamo vinto la guerra prima che eravamo d’accordo, ora sarà molto più difficile. E poi, come la pensano coloro che sono rimasti in Italia? Non potremmo anche trovarci di fronte a dei nostri fratelli?
Ma la massa si allontana dal campo, lasciando sul campo il Capitano con al massimo 200 uomini su 5000 che eravamo. Io la seguii felice, o quasi, perché pensavo alla speranza di poter vedere la mia famiglia. Invece ora dovrò aspettare la fine.

Tornato in camerata arriva la richiesta di 150 contadini. Aderisco subito malgrado il mio mestiere sia il falegname, sperando di essere fuori pericolo dai bombardamenti.

dal 17-9-943 al 23-9-943

I giorni passano tutti uguali. Qualche discorsetto da parte di un capitano delle camice nere, al quale, quasi la totalità presta poca fiducia, sempre col solito tema: ripigliare le armi per continuare la lotta a fianco dei camerati germanici.
Degna di nota la Domenica, in cui il cappellano militare, pure lui prigioniero, ha celebrato la S. Messa che tutti abbiamo ascoltato devotamente.

16-9-943

Le proposte strane non tardano, come avevo preveduto. Preceduta dalla notizia che il Duce è stato liberato e che ha ripreso il comando formando la Repubblica Italiana Fascista, che il Re e Badoglio ci hanno tradito e sono fuggiti in Inghilterra, oggi ci hanno fatto questa: chi vuole arruolarsi volontario nelle truppe d’assalto per combattere a fianco dei camerati germanici? Di 500 uomini della mia baracca ne sono usciti 4, dopo aver ripetuto la domanda sei o sette volte. Da parte mia propongo di seguire il destino, di non far nessun passo senza essere costretto. Quasi la totalità ha la mia idea.

15-9-943 sera

Arrivo al campo di concentramento. Qui ci sono russi, francesi e serbi. Ci mettono nelle baracche. I castelli non sono tanto comodi: due sole tavole non più larghe di 15 centimetri, niente paglia. Siamo prigionieri di guerra trattati come i russi e gli altri. Eppure fino a ieri abbiamo combattuto al loro fianco. I nostri superiori ci hanno ordinato di lasciare le armi, abbiamo obbedito, nessuna colpa da parte nostra, eppure siamo noi a subire il castigo. Qui siamo isolati dal mondo, nulla possiamo sapere di ciò che succede nella nostra patria. Possono dirci quello che vogliono loro.

mercoledì 14 settembre 2011

12-9-943 ore 7.00

Una raffica di mitragliatore mi ha svegliato. Penso subito che è domenica. Oggi otto a quest’ora ero vicino alla mia Pupetta, alla mia Anita, in quale stato saranno? Sapranno quello che è successo? O aspetteranno che arrivi a casa? Il cuore vuole uscire dal petto, sono costretto ad alzarmi in piedi; esco dalla tenda. Lo spettacolo che si para davanti ai miei occhi riesce a metter in movimento le lacrime: piango per una buona mezz’ora. Tra le lacrime vedo un formicolio di militari di tutte le armi, con le barbe lunghe, la faccia stravolta, chi seduto per terra, chi sul suo zaino, chi buttato a terra. Molti sotto tende di fortuna composte per lo più di carrette con le ruote all’aria. Davanti all’acqua una interminabile colonna di assetati, uno spettacolo impossibile a descriversi. Io non sento né sete né fame, ho solo voglia di piangere e continuo a piangere. Così passa la giornata.
Alle ore 17.00 ci viene ordinato di preparasi per partire, siamo circa duemila che abbiamo avuto quest’ordine. Dove si va? Un interprete ci dice che andiamo in un paese del mantovano, perché qui siamo troppo stretti. Formano la colonna e usciamo dal campo a piedi; cammina e cammina passiamo per la città. Sono le otto, le vie sono deserte, non si vede nessun borghese; solo una donna e un ragazzo coraggiosi stanno sulla porta di casa con un mestello d’acqua, sanno che abbiamo sete. Un mio compagno riesce a prendere una borraccia e a dire qualche parola al giovinotto, il quale ci consiglia di non scappare dicendo che hanno già messo fuori i manifesti che devono presentarsi tutti sotto pena di morte. Alle 8.30 arriviamo davanti alla stazione di Mantova, ci fanno posare gli zaini a terra e ci sediamo sopra. Altro che paesetto del mantovano! Ora ci caricheranno in treno e ci porteranno in Germania. Una signorina passa e raccoglie qualche lettera; scrivo poche parole in un pezzo di carta e glielo consegno. Ci dice che al Primiero resistono ancora, che c’è Badoglio con le divisioni alpine, ci mette ancora la speranza di non uscire d’Italia.
A mezzanotte ci caricano in treno, 50 uomini per ogni carro bestiame. Vengono sprangate le porte, le panche non ci sono: siamo come le sardine in scatola, si soffoca. Alle 2.00 il treno parte. Verso dove? Non si sa. Per un po’ di tempo resisto a stare in piedi, ma poi il sonno e la stanchezza mi vince, scivolo giù, come un sacco vuoto, e mi addormento. Quando mi sveglio dicono che abbiamo già oltrepassato Trento, ormai non c’è più nessun dubbio, ci portano in Germania.
Un’angoscia terribile mi invade l’anima, non riesco a piangere. Man mano che il treno cammina allontanandomi sempre più dalla mia casa, aumenta lo strazio. Non sto a descrivere tutto questo viaggio terribile, sarebbe troppo lungo. Dico solo che dopo 61 ore di viaggio con poco pane e meno acqua ci siamo trovati a Neubrandeburg, dove finalmente ci hanno fatto scendere.

domenica 11 settembre 2011

Schio, sabato 11-9-943

Stamattina corre ancora la voce che ci lasciano liberi, ma io ci spero poco. Difatti alle ore nove arrivano davanti alla caserma 40 corriere. Altro che libertà, ora ci caricheranno tutti e chissà dove ci porteranno.
Mi guardo intorno cercando la possibilità di tentare la fuga. La vigilanza è aumentata, però, dietro al gabinetto c’è un palo che arriva fino a metà delle mura, e aspettando che la sentinella guardi da un’altra parte, si potrebbe tentare il salto. Sto aspettando il momento opportuno per spiccare il salto, quando il mio tenente mi chiama dicendomi queste precise parole: ‘Rancan! Pigliati il materiale, che si parte subito. Fa presto, perché questa gente qui, sparano sai!’ Gli rispondo che se non avessi la famiglia preferirei farmi ammazzare piuttosto che farmi portar via; lui mi da del pazzo e mi consiglia di eseguire il suo ordine; così è svanito anche quest’ultimo tentativo.
Come un automa faccio quello che fanno gli altri; il mio pensiero è tutto rivolto alla mia casa, la mia Pupetta, la mia Anita, la mia mamma e papà. Vorrei almeno vederli, parlargli: piango pensando quanto tempo passerò lontano.
E la mia Anita, come vivrà senza mie notizie? Scrivo quattro cartoline, le do a un borghese, spero che qualcuna le giunga.
Si parte. Non dimenticherò mai la generosità e la fierezza delle donne di Schio: stavano tutte schierate lunghe le vie, buttavano quanto potevano dentro dai finestrini. Pane, frutta, pacchetti di marmellata; non una che non piangesse.
Usciamo da Schio sulla strada statale; passiamo per Malo, Isola Vicentina, Sovizzo, Tavernelle, Montebello. Qui l’amico Bruzzo Renato passa davanti alla sua casa, sporge un braccio dal finestrino. La mamma lo vede, esce, si mette le mani nei capelli e rientra, barcollando.
Avanti, arriviamo a Verona dove una mitragliatrice spara ancora; si prosegue verso Mantova.
Arriviamo a Mantova, per le sue vie la stessa scena di Schio, anche la donna mantovana si prodiga in tutti i modi, lacrimando.
Alle ore 17.30 arriviamo al campo di concentramento. Orribile scena! Ventimila uomini entro le mura, della sezione staccata di artiglieria. Bisogna cercare di trovare un po’ di terreno libero per poter passare la notte e ci riusciamo a stento! Con qualche telo e delle coperte facciamo una tenda da 8 e ci ficchiamo sotto in 15. La terra non è tanto dura, e per fortuna è asciutta, si può dormire. Abbiamo sete e fame; da parte tedesca nulla da sperare. Ci mettiamo d’accordo in sei e buttiamo tutte le nostre riserve in un mucchio. Escono 18 pagnotte, un po’ di marmellata e anche un po’ di burro. Per tre giorni si mangia. Ma l’acqua? Ci dicono che bisogna stare in colonna da mezzanotte a mezzogiorno per arrivare a prendere una borraccia, e me ne rendo conto durante la notte, che per andare al gabinetto, ho dovuto fare tutto il giro del campo per non poter attraversare la colonna che aspetta l’acqua.
Le guardie parlano ma noi non comprendiamo; allora ci fanno capire a suon di colpi di moschetto, e raffiche di mitraglia. Non passa un minuto senza un colpo o una raffica.

sabato 10 settembre 2011

un pò di storia

Il proclama Badoglio dell'8 settembre 1943, che fece seguito a quello del generale Dwight D. Eisenhower delle 18.30, trasmesso dai microfoni di radio Algeri, fu il discorso letto alle 19.42 dai microfoni dell'EIAR da parte del Capo del Governo maresciallo d'Italia Pietro Badoglio con il o, quale si annunciava l'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese.

« ...Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza... »

 
L'abbandono della Capitale da parte dei vertici militari, del Capo del Governo Pietro Badoglio, del Re Vittorio Emanuele III, e di suo figlio Umberto dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, e la confusione, provocata soprattutto dall'utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole armistiziali e che fu dai più invece erroneamente interpretata per la seconda volta come la fine della guerra, generarono ulteriore confusione presso tutte le forze armate italiane in tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano, e che, lasciate senza precisi ordini, si sbandarono. Oltre 600.000 soldati italiani vennero catturati dall'esercito germanico, e destinati a diversi Lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive. Più del 50% dei soldati abbandonarono le armi ed in abiti civili tornarono alle loro case. La ritorsione da parte degli ormai ex-alleati nazisti, i cui alti comandi, come quelli italiani avevano appreso la notizia dalle intercettazioni del messaggio radio di Eisenhower, non si fece attendere tanto che fu immediatamente attuata "l'operazione Achse" (asse), ovvero l'occupazione militare di tutta la penisola italiana, il 9 settembre l'affondamento della Corazzata Roma alla quale nella notte precedente fu ordinato assieme a tutta la flotta della Regia Marina di far rotta verso Malta in ottemperanza alle clausole armistiziali anziché, come precedentemente stabilito, attaccare gli alleati impegnati nello sbarco di Salerno.

Fonte Wikipedia

credo che queste siano le esatte parole che sentì mio nonno alla radio l'8 settembre del 1943.

venerdì 9 settembre 2011

Schio, 9-9-943

Dispensa delle armi a tutte le reclute del Battaglione. Libera uscita sospesa. Alle ore 20.00 arriva in caserma un Sergente Maggiore dei Bersaglieri, fuggito da Rovereto; racconta che hanno combattuto tutta la notte ma in fine hanno dovuto arrendersi. Nessun ordine da parte dei nostri ufficiali.
Non ho nessuna voglia di dormire, penso che da un momento all’altro possiamo essere attaccati.
Alle ore una del 10, di mia iniziativa, dico ai soldati del mio plotone, di vestirsi e tenersi pronti in caso dovessimo abbandonare la caserma. Avevo sentito trapelare la voce che il Colonnello aveva telefonato di portare il Battaglione fuori caserma, sulla strada di Thiene.
Torno in camera mia. I signori ufficiali sono riuniti, ma non riescono a decidere nulla; ci ordinano di andare a dormire.
Mi metto in branda completamente vestito, con l’intento di restar sveglio, ma la stanchezza mi vince e mi addormento. Sogno che arrivano i tedeschi: è realtà!
Mi sveglio bruscamente, sento il rombo di un motore sotto l’azione del silenziatore: scatto alla finestra, do l’allarme ai compagni.
Sulla strada che viene da Rovereto, a cento metri dalla caserma, delle macchine stanno ferme; scendono degli uomini: un colpo di fucile; un faro abbagliante si accende. Segue una scarica di mitraglia; pochi secondi, e già sento le iene tedesche sul corridoio della camerata, che urlando e sparando raffiche di pistola e mitraglia intimando la resa.
Ci hanno sorpresi nel sonno, e impreparati. Gli ufficiali alzano le mani per primi; qualcuno di loro ha già tagliato la corda, qualcuno la taglia saltando dalla finestra; a noi non resta che alzar le mani.
Tutta la giornata del dieci passa in cortile della caserma, guardati da cinque mitragliatori. Corre la voce che aspettano ordini per lasciarci in libertà. Ma io ci credo poco, e penso che sarebbe meglio scappare; riesco ad avere un vestito borghese, ma qualcuno me lo ha visto e riesce a rubarmelo. Tento di varcare le mura in divisa, ma una sentinella mi blocca. Ci dicono che chi tenterà di fuggire sarà fucilato, così, sperando sempre che ci lascino in libertà, mi abbandono al destino.

Schio, 8-9-943 ore 19.00

Sono al cinema con l’amico De Boni e la Rosina col suo figlio. Entra un soldato e ci dice che Badoglio ha firmato l’armistizio. Usciamo quasi subito per accertarci; tutti ci dicono che è vero. Ci fermiamo al bar per sentire il comunicato e nell’attesa brindiamo con una cedrata. Sentita con le nostre orecchie la buona novità, partiamo per andare a casa della Rosina che ci ha invitati a bere una bottiglia. Strada facendo incontriamo un ufficiale, il quale ci ordina di entrare subito in caserma; rimandiamo la bottiglia all’indomani sera, ed eseguiamo l’ordine ricevuto.
Appena giunto in caserma scrivo una cartolina alla mia Anita, partecipandole la speranza di andare a casa presto per sempre; ma in fondo al cuore ho un’incertezza terribile.
Si forma un picchetto armato per la difesa della caserma. Durante la notte i tedeschi hanno tagliato la corda.

giovedì 8 settembre 2011

Domenica 23 gennaio 1944 136° giorno di prigionia

Prima di incominciare a copiare i foglietti che ho già messo in ordine, mia cara Anita, anch’io come fanno i veri scrittori, faccio una piccola prefazione, necessaria solo se questo mio passatempo capita in mano a quelche persona che non mi conosce. Avrò massima cura che ciò non succeda, perché questo lavoro lo faccio unicamente per te; ma il caso, alle volte non si sa mai. Solo tu puoi leggere con interesse e capire, anche se le frasi sono sconnesse, i punti pochi, le virgole molte, o viceversa, gli errori di grammatica e di ortografia infiniti. Tu sai che io non ho studiato, e che il mio mestiere è il falegname, non lo scrittore, e solo tu quindi, volendomi anche tanto bene, puoi leggere con interesse passando sopra a tutti gli errori.
Poc’anzi ho detto che sono dei pensieri scritti su dei foglietti staccati, che non è diario né storia, ma ora che li ho riletti, devo dire che c’è un po’ di tutto, diario, storia e lettere, che nelle ore di maggiore dolore ho scritto a te, pur sapendo che non avrei potuto spedirtele, ma parendomi così di parlare un po’ con te, e di avere un po’ di sfogo, bagnandole molte volte di lacrime amare.
Purtroppo qui non vi troverai che dolore. Ma che cosa può uscire dal cervello di un uomo che è stato strappato improvvisamente dalla sua famiglia, senza poter almeno vedere un’ultima volta i suoi cari, dargli un bacio, dirle una una parola, un addio? Dolore! Strazio! Solo questo può suggerirmi il mio cuore e la mia anima. Anche ora mentre scrivo, un nodo mi serra la gola, e qualche lacrima scende, guardando in faccia alla dura realtà.

per te mia Anita

Per te mia Anita, questo mio umile lavoro, che raccoglie tutti quei pensieri che ho potuto scrivere, dal giorno che l’ingrato destino mi strappò da te, e Pupetta nostra. Non è ne il diario, ne la storia di questa dolorosa parentesi della mia vita. Sono solo dei pensieri scritti su dei foglietti staccati, che ora cerco di riordinare e mettere uniti, passando così delle ore con un po’ di soddisfazione, pensando che qui, se avrò la grazia di presentartelo con le mie mani, troverai tutto ciò che ho sofferto e pensato, lontano da te e da tutto ciò che mi è più caro e sacro. Solo col mio indescrivibile dolore; privo di tue notizie da 159 giorni. Mi mantiene in vita la fede che ho in Dio, e il suo aiuto, e la speranza di poter un giorno riabbracciarti con la nostra Pupetta.

A Friedland (Germania) il 22 gennaio 1944 135° giorno di prigionia

Tuo Berardo

pensieri di prigionia

mio nonno era una grande persona. e non nel senso che fosse alto di statura. credo non arrivasse nemmeno ad 1 metro e 60.
si chiamava berardo, faceva il falegname. aveva il suo laboratorio sotto casa, a s.pietro mussolino, paesino di 1500 anime in provincia di vicenza.
io lo ricordo come una persona che parlava poco, pochissimo.
appassionato di parole crociate. comperava i tascabili di 'relax', perchè avevano la misura giusta per entrare nella tasca della sua giacca. così, ovunque fosse, quando aveva 5 minuti di tempo, tirava fuori librino e penna e si immergeva nei suoi cruciverba. credo di averlo visto fare le parole crociate anche in chiesa, mentre aspettava che iniziasse la messa.
aveva un importante naso aquilino e, da quando lo ricordo io, in bocca gli erano rimasti 5 denti non consecutivi. non ha mai voluto mettere la dentiera. ma anche se aveva pochi denti, portava sempre tra le labbra uno stuzzichino. non ho mai capito a cosa gli servisse...
da giovane faceva il campanaro per la parrocchia. un giorno, non ricordo che età avesse, mentre suonava le campane forse per la messa, si staccò il 'peso dell'orologio del campanile', ruppe tutte le solette e gli cadde in testa.
stette in coma per parecchio tempo (i miei ricordi cominciano a vacillare, e non riesco a definire i tempi), ma poi si riprese. questo incidente lo lasciò con un buco in testa, e mezzo tallone mozzato. e per questi motivi camminava sempre col bastone, e portava il basco.
era anche un pò gobbo. insomma...era bellissimo. vi giuro. sembrava disegnato da un fumettista francese.
e tutti noi gli volevamo un gran bene.
è stata una delle persone più sagge che abbia mai conosciuto. poche parole, ma che ti scuotevano come macigni.
da lui, noi tutti suoi figli e nipoti, abbiamo imparato le cose più importanti.
l'importanza della famiglia, il valore dell'onestà, la assoluta poca importanza dei soldi.
durante la seconda guerra mondiale, mio nonno fu fatto prigioniero e portato in germania, in un campo di lavoro. era già sposato con mia nonna, anita, e avevano una figlia, mia zia agnese, che lui chiamava pupetta.
era difficile farlo parlare di quel periodo. raccontava qualcosa, qualche aneddoto. ma se si provava a farlo andare un pò più nel dettaglio si metteva a piangere e non parlava più.
scrisse molte lettere a mia nonna durante la prigionia. e scrisse una specie di diario, che mi è tornato fra le mani da qualche mese. l'ho letto, e l'ho trovato bellissimo e vero, proprio come era lui.
mi sono messa a trascriverlo, per paura che col tempo potesse andare perso, o diventasse illeggibile.
e sto cercando di trascrivere e riordinare anche le lettere e quant'altro ho trovato, di quel periodo.
l'idea finale sarebbe quella di riuscire a farci un librino.
visto che con questo lavoro ero un pò ferma, mi è venuta l'idea di farci un blog.
vorrei aggiungere qualche pagina di quel diario ogni settimana, senza una scadenza fissa.
è un diario nostro, di famiglia, ma secondo me è anche un pezzo di storia vissuto in prima persona.
credo che quel pezzo di storia sia importante non dimenticarlo, e condividerlo con più persone possibili.
non so a quante persone potrà interessare, e come al solito non mi interessa molto. ma mi sono accorta che i commenti e gli apprezzamenti di chi segue l'altro mio blog, mi spingono ad andare avanti, mi stimolano e mi incoraggiano. quindi, chiunque vorrà commentare o altro, sarà il benvenuto!
forse così riuscirò a portare a termine anche questo lavoro, a condividerlo con chi vorrà, e alla fine a farne quel famoso libricino.